Sono tornato da una settimana, cinque anni esatti mi separano dal cuscus di nonna.
Non ho vissuto molto la mancanza della famiglia, perché sei mesi sì e sei mesi no venivano a trovarmi a Marsiglia mia madre, mio fratello maggiore e mia sorella.
Sono appena passate le tre, regna il silenzio nel quartiere, tranne per i pochi clacson di taxi affrettati o per il raglio di asini troppo stanchi per il peso delle carrozze. Si vede passare qualche persona solo quando il muezzin annuncia la preghiera. La moschea da cui arriva l’Adhan si chiama Mohamed V. Vi si trova intorno un parco che ora è ben curato, ma quand’ero piccolo somigliava più a una discarica che a un giardino.
Verso il tramonto famiglie e gruppi di amici lo raggiungono per prendere un po’ di aria fresca, a giocare a carte o a suonare darbuka e cantare canzoni rai. Questo succede durante l’estate. Adesso che è inverno rimane abbastanza desolato tutte le ore del giorno e della notte.
Quest’anno la festa del sacrificio musulmana coincide con il Natale cristiano. Ascoltare gli scambi di auguri mi ha seguito fino a qui. Il suono della parola mabruk mi è molto familiare, mi ricorda l’infanzia, i dolci, la spensieratezza e tante amicizie perdute nel tempo. Mi sento a casa.
Sono le tre del pomeriggio, sono seduto sull’erba fresca del parco e fumo una sigaretta. Non fumo mai davanti ai parenti. Per rispetto. Ho gli auricolari e ascolto una canzone rai, parla di ricchezza che non c’è più e di persone che abbandonano il paese per l’Europa. I pensieri viaggiano, sono ormai invaso dai ricordi e mi accorgo che non la sto più ascoltando, ho la mente altrove.
Una donna si dirige verso di me, ha la camminata di chi è felice perché ha rivisto una cara persona e la vuole subito raggiungere per abbracciarla. E’ quasi vicina, sorride, allunga il braccio e mi saluta. La riconosco.